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Protesi d’anca: chirurgia protesica di primo impianto

Un intervento protesico di primo impianto, consiste nel sostituire l’articolazione ammalata con una protesi totale d’anca (o artroprotesi d’anca) eliminando la fonte del dolore in modo efficace e permanente.

La protesi è un’articolazione artificiale realizzata con materiali molto resistenti all’usura: leghe metalliche di Titanio o Cobalto-Cromo, materiale plastico (polietilene), ceramica.

La protesi è costituita da una coppa e da uno stelo, che vengono inseriti rispettivamente nell’acetabolo e nel femore. Sullo stelo viene assemblata una testa protesica, in metallo o ceramica, che poi si “articolerà” con la superficie interna della coppa protesica. di metallo, ceramica o polietilene.

Guarda video: Come avviene l’impianto di una protesi d’anca

Fonte  www.forunnershealthcare.com: Video Intervento Protesi di anca 

Protesi d’anca cementata e non cementata

Esistono due tipi principali di protesi d’anca:

  1. protesi cementate
  2. protesi non cementate

Negli anni passati, per fissare i componenti della protesi d’anca, si utilizzava il cemento acrilico, che unendo il metallo e l’osso, manteneva in posizione la protesi (protesi cementata), fungendo prevalentemente da riempitivo.

Oggi, però, si preferisce ricorrere alla protesi non cementata che si innesta attraverso un legame biologico: lo stelo della protesi è rivestito da una superficie porosa, che consente all’osso di crescere all’interno ancorandosi alla protesi.

In casi particolari, come l’osteoporosi grave, quando l’osso è troppo fragile e poroso, la protesi cementata costituisce ancora la soluzione più sicura.

Radiografia che mostra l'impianto di una protesi d'anca

La protesi è costituita da una coppa e da uno stelo, che vengono inseriti rispettivamente nell’acetabolo e nel femore.

Quando è indicato l’intervento?

La sostituzione dell’anca malata con l’impianto di una protesi è la soluzione più indicata quando le cure mediche e la fisioterapia non funzionano più.

Le patologie che più spesso portano un paziente affetto da dolore all’anca all’intervento sono:

  1. Coxartrosi o artrosi degenerativa dell’anca

    Possibile sia nelle forme primarie (a causa ignota), che secondarie della malattia (determinate da patologie o condizioni preesistenti: displasia, conflitto femoro-acetabolare, postumi di frattura…).

  2. Artriti: artrite reumatoide, spondilite anchilosante, artrite psoriasica

    Nei casi in cui l’articolazione è stata danneggiata in modo irreversibile dall’artrite è consigliabile l’intervento di protesizzazione.

  3. Osteonerosi della testa del femore

    Negli stadi più avanzati di questa patologia l’unica soluzione è la protesi, poiché non è più possibile ricorrere ad interventi di salvataggio (trapianto di perone, decompressione della testa femorale ed innesto di gel piastrinico, interventi di tipo conservativo).

  4. Frattura del collo femorale

    In questo caso, se il paziente è molto anziano e il cotile (l’acetabolo) non è artrosico, è consigliabile ricorrere ad una protesi parziale solo femorale, che può essere posizionata con un intervento meno invasivo della protesi totale.

Intervento di protesi d’anca: come avviene?

Esistono tre principali tecniche per la protesizzazione che corrispondono alla posizione della ferita chirurgica:

  1. Accesso anteriore
  2. Accesso laterale
  3. Accesso posteriore

Non esiste una via ideale e la scelta dipende soprattutto dall’esperienza personale del chirurgo.

“La tecnica di impianto che prediligo è l’accesso laterale diretto, che consiste in un’incisione longitudinale sul “fianco” lunga dai 10 ai 15 cm in funzione della corporatura del paziente e la via anteriore”

Dott. Paolo TrentaniAutore del sito PatologieOrtopediche.net e Specialista in Ortopedia e traumatologia presso l’Ospedale Privato Accreditato Villa Laura a Bologna ed il Centro di riabilitazione e fisioterapia Welness in provincia di Teramo

Quest’ultima ha sicuramente il vantaggio di una ripresa più rapida in quanto meno traumatica per i tessuti molli, ma allo stesso tempo si tratta di una via che va destinata a pazienti magri e poco muscolosi, infatti sia l’obesità che la muscolatura ipertrofica renderebbero difficoltoso l’alloggiamneto delle componenti, esponendo il chirurgo ad un maggiore rischio di posizionare le componenti in modo non corretto.

Una volta raggiunta l’articolazione essa viene lussata (ovvero vengono distaccati tra di loro la testa del femore e l’acetabolo del bacino), esponendo capi articolari; quindi, il collo e la testa del femore vengono asportati e, con apposito strumentario, una protesi sostituirà entrambi.

Lo stelo viene posizionato all’interno del canale midollare del femore e la coppa viene inserita nell’acetabolo, quindi si applica la testina con conseguente riduzione della stessa all’interno del neoacetabolo.

Nel caso di protesi non cementate il chirurgo impianta una coppa leggermente più grande della sede acetabolare preparata, ottenendo un “incastro a pressione” (press-fit) che garantisce stabilità iniziale dell’impianto, consentendo quindi all’osso di crescere nel rivestimento periprotesico, condizione che garantirà stabilità definitiva dell’impianto.

Quando l’osso non è sufficientemente resistente, come nel caso dell’osteoporosi severa, può essere necessario rafforzare l’impianto con delle viti di ancoraggio.

Guarda video: Impianto di una protesi d’anca con accesso anteriore

Protesi Anca Via di accesso anteriore – Anterior Animaton High Res

Guarda video: I vantaggi dell’impianto nella protesi totale d’anca con accesso anteriore mininvasivo

Fonte AMIS:  The Anterior Minimally Invasive Surgery technique

Rischi della protesi d’anca

Molti pazienti candidati alla protesi d’anca manifestano forte ansia e preoccupazione in relazione ai rischi connessi all’intervento. Se è vero che questi rischi esistono, poiché si tratta di un intervento di chirurgia maggiore, bisogna ricordare che l’impianto della protesi d’anca è molto frequente, con un alto tasso di soddisfazione tra i pazienti.

In ogni caso, è molto importante che il paziente, prima di entrare in sala operatoria, comprenda chiaramente quali sono i rischi connessi all’intervento. Di questi, i più importanti sono:

  • Infezione periprotesica

    E’ un’infezione causata da una colonizzazione batterica della protesi.
    Avviene perché la superficie metallica della protesi è il terreno ideale per la crescita dei batteri, che qui sono al riparo dalle difese immunitarie dell’organismo.

    E’ la complicanza più temibile, che si verifica mediamente nello 0,5-1% dei casi, anche in presenza di un’asepsi (sterilizzazione) ottimale, di una procedura chirurgica corretta e di un’adeguata profilassi antibiotica.

    Esistono alcuni fattori di rischio che aumentano significativamente la possibilità di incorrere in questa grave infezione. Sono diabete mellito e immunodeficienza.

    Anche se la maggior parte delle infezioni si presenta immediatamente dopo l’intervento, è possibile che si manifestino anche a distanza di anni.

    Come intervenire:

  • nelle prime settimane dall’impianto è possibile intervenire una pulizia chirurgica
  • se l’infezione si è cronicizzata o è ad esordio tardivo, si deve ricorrere ad un espianto totale della protesi associata ad un’accurata pulizia chirurgia di tutti i tessuti infetti e necrotici ed all’applicazione di uno spaziatore cementato che garantisca il mantenimento dello ‘spazio articolare’ per tutto il periodo necessario alla guarigione all’infezione (condizione che normalmente si protrae per circa 6-8 settimane di terapia antibiotica specifica basata sull’esame colturale del materiale prelevato durante l’espianto). successivamente se gli esami ematici (VES, PCR) e la scintigrafia con granulociti marcati si sono normalizzati allora si può procedere alla rimozione dello spaziatore e alla sostituzione della protesi
  • Trombosi venosa col rischio di embolia polmonare

    Questa complicanza ha un’incidenza piuttosto bassa grazie agli attuali protocolli di prevenzione: assunzione di anticoagulanti e uso di calze elastiche durante tutto il periodo post-operatorio.
    La flebografia, un’indagine eseguita per motivi di ricerca e non nella routine quotidiana, che consiste nell’eseguire uno o più radiogrammi dei segmenti venosi riempiti di liquidi di contrasto radiologici, dimostra che circa il 15% dei pazienti sviluppa qualche forma di occlusione venosa in seguito all’intervento, ma solo raramente questa produce sintomi e solo in casi eccezionali determina una embolia polmonare.

    Gli stessi farmaci usati per prevenire queste complicanze possono essere assunti a dosaggio aumentato anche per curarle, qualora si dovessero verificare.

  • Lussazione in seguito a protesi d’anca

    La lussazione si verifica quando la testa della protesi esce al di fuori della coppa. La percentuale dell’evento è stimata al 3,9% nelle protesi primarie (intervento protesico di primo impianto) e fino al 14,4% nelle revisioni (intervento protesico di revisione).
    E’ una complicanza che può verificarsi nel periodo post-operatorio se il paziente esegue alcuni movimenti che vanno tassativamente vietati nelle prime 6 settimane dopo l’impianto:

  • flessione dell’anca oltre i 90°
  • incrociare le gambe

La carenza di tono muscolare predispone a questa complicazione, che fortunatamente si risolve spesso con una riduzione incruenta. Si tratta di intervenire con manovre esterne per riportare la protesi alla condizione corretta: non è un intervento chirurgico e il paziente viene sedato per ottenere il necessario rilasciamento muscolare.

Quando la lussazione incruenta non fossesufficiente si dovrà reintervenire chirurgicamente per rialloggiare le componenti nella loro sede.

Com’è il decorso post operatorio?

Dopo l’intervento, il paziente rimane ricoverato nel reparto chirurgico per un tempo variabile tra 4 e 8 giorni in funzione dell’età, delle malattie coesistenti, della capacità di seguire il programma riabilitativo.
Si cerca di farlo camminare già dalla seconda giornata, con l’aiuto di stampelle per evitare che carichi l’arto operato.

Nel caso di protesi cementate è possibile eliminare le stampelle precocemente: non appena i tessuti molli sono guariti, solitamente entro 2 settimane dall’intervento

Nel caso di protesi non cementate è preferibile continuare ad usare le stampelle per 4-6 settimane dall’operazione per non disturbare il processo di unione tra l’osso e l’impianto artificiale (osteointegrazione).

Riabilitazione dopo l’impianto della protesi d’anca

Alcune indicazioni del chirurgo:

“La riabilitazione precoce dopo protesi d’anca, dovrebbe limitarsi all’insegnamento della deambulazione in appoggio sfiorante e degli esercizi di mantenimento del tono muscolare. Dopo 6-8 settimane, in presenza di un decorso regolare, il paziente può tornare ad una vita normale”

Dott. Paolo TrentaniAutore del sito PatologieOrtopediche.net, Specialista in Ortopedia e traumatologia presso l’Ospedale Privato Accreditato Villa Laura di Bologna ed Centro di riabilitazione e fisioterapia Welness in provincia di Teramo

Quanto dura una protesi d’anca?

Le protesi attualmente disponibili durano circa 25 anni, ma molto dipende dal peso corporeo e dal livello di attività fisica del paziente, fattori che sembrano incidere in modo determinante sulla durata dell’impianto.
Quindi un paziente anziano, magro e con basse richieste funzionali può ritenere ragionevole che la sua protesi duri “per sempre”, invece un giovane, attivo e sovrappeso, rischia di doversi sottoporre ad un intervento di riprotesizzazione. Per questo motivo, il ricorso alla protesi in pazienti giovani è sempre valutato con grande cautela.

Pazienti giovani e protesi: le migliori soluzioni per gli under 60

Abbiamo visto che i pazienti giovani, attivi e in sovrappeso hanno maggiori probabilità di dover ricorrere nuovamente alla chirurgia protesica (di revisione). Per questi casi esistono soluzioni più efficaci:

  • Protesi conservative

    Sono modelli di protesi che richiedono una minore asportazione ossea a livello del femore; appartengono a questa tipologia le protesi a conservazione del collo femorale e di rivestimento. Possono essere impiegate in casi molto specifici e richiedono un’accurata selezione dei pazienti.

  • Accoppiamenti testa-inserto acetabolare a bassissima usura

    Sono interfacce articolari ad accoppiamento “ceramica-ceramica” oppure protesi in Oxinium (protesi in metallo su cui si effettua una ossidazione di superficie che induce una ceramizzazione del metallo) che hanno il grande vantaggio di liberare una quantità minima di detriti.

Protesi d’anca e sport

Per poter praticare nuovamente sport dopo l’intervento è bene sapere che un completo recupero della funzione e della stabilità articolari richiedono almeno 4 mesi dall’operazione.

No a corsa e salti

L’impianto di una protesi d’anca nello sportivo ha effetti estremamente positivi per il paziente, poiché elimina il dolore e lo spinge a riprendere l’attività che aveva forzatamente interrotto. Tuttavia, anche in assenza di dolore, gli sport che comportano la corsa o il salto (jogging, pallavolo, basket, calcio…) hanno effetti potenzialmente dannosi sulla protesi, perché determinano violenti e ripetuti impatti della testa protesica nella coppa, incrementandone l’usura. Sono quindi assolutamente sconsigliati.

Attenzione a ciclismo, sci alpino ed equitazione

Si tratta di sport a rischio di trauma. In tutti i casi in cui il paziente possa subire un trauma, come una colpo o una caduta, il rischio di danneggiare la protesi è alto.

Sì al nuoto e all’attività fisica moderata

I pazienti che hanno subìto un intervento di protesi all’anca possono praticare sport, ma solo a livello ludico-ricreativo, scegliendo attività che non comportano rischi ed eccessivi carichi sull’articolazione: nuoto, golf, ginnastica.

I pazienti che hanno subìto un intervento di protesi all’anca possono praticare sport, ma solo a livello ludico-ricreativo, scegliendo attività che non comportano rischi ed eccessivi carichi sull’articolazione.

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