In quali casi è necessario l’impianto di una protesi del ginocchio
Un intervento protesico di primo impianto, consiste nel sostituire l’articolazione ammalata con una protesi di ginocchio artificiale (o artroprotesi di ginocchio) eliminando la fonte del dolore in modo efficace e permanente.
La protesi è un’articolazione artificiale realizzata in leghe metalliche e materiali plastici, è costituita da una componente tibiale e da una componente femorale, che vengono fissate all’osso attraverso l’impiego di cemento acrilico. A differenza della protesi d’anca, per il ginocchio si ricorre meno di frequente all’uso di componenti porose senza cemento. Sulla componente tibiale viene assemblato un inserto in polietilene, che può essere fisso o rotante, a seconda del modello protesico, che consentirà lo scorrimento delle componenti.
La protesi è un’articolazione artificiale realizzata in leghe metalliche e materiali plastici, è costituita da una componente tibiale e da una componente femorale, che vengono fissate all’osso attraverso l’impiego di cemento acrilico. L’immagine radiografica qui a fianco mostra l’impianto di due protesi al ginocchio.
Protesi totale e protesi monocompartimentale
Se l’impianto sostituisce totalmente il ginocchio ammalato, si parla di protesi totale al ginocchio, se invece sostituisce solo una parte dell’articolazione, si parla di protesi monocompartimentale.
Protesi totale di ginocchio
L’impianto di una protesi totale di ginocchio è indicato quando questo è danneggiato da un processo degenerativo globale o se interessa almeno due dei tre compartimenti articolari che lo compongono (mediale, laterale e femoro-rotuleo). In questi casi una sostituzione parziale (cioè la sostituzione di un solo compartimento) porterebbe inevitabilmente al fallimento dell’impianto.
Tecnica chirurgia protesi ginocchio
Protesi di ginocchio parziale o monocompartimentale
Al contrario, la protesi monocompartimentale costituisce la soluzione ideale nelle ginocchia che presentano un danno limitato ad un solo compartimento (più spesso quello mediale). Questa protesi, infatti, permette di conservare gran parte dell’articolazione naturale, riducendo così l’invasività della procedura chirurgica.
Fonte Arthrex: Unicondylar Knee Resurfacing with the iBalance® UKA System
Quando è indicato l’intervento?
La sostituzione protesica del ginocchio è indicata in tutte le gonartrosi o artrosi del ginocchio, sia nelle forme primarie (a causa sconosciuta) che secondarie (determinate da fratture articolari del ginocchio, malallineamenti…), quando la sintomatologia non è più controllabile con le cure mediche e fisioterapiche.
Anche le artriti (artrite reumatoide soprattutto) possono richiedere l’impianto di una protesi quando l’articolazione è stata danneggiata irreversibilmente.
Come avviene l’intervento?
L’intervento di protesizzazione viene eseguito attraverso un’incisione longitudinale sulla faccia anteriore del ginocchio.
Questa incisione ha una lunghezza variabile (11-16 cm circa) e dipende dalla difficoltà del caso e dal tipo di impianto protesico da inserire (totale o monocompartimentale).
La parte superiore della tibia (il piatto tibiale) e quella inferiore del femore (i condili femorali) vengono asportate per uno spessore pari a 8-10 mm in modo da fare posto alle componenti protesiche. Sono poi necessarie ulteriori sezioni per ottenere la perfetta congruenza tra protesi e osso.
I componenti vengono fissati generalmente col cemento, esistono però anche protesi di ginocchio destinate all’uso senza cemento.
Fonte eOrthopodTV You Tube Channel: Artificial Knee Replacement
Quali sono i rischi?
Molti dei pazienti candidati all’impianto della protesi di ginocchio sono fortemente preoccupati dai rischi dell’intervento e dal post-operatorio. In molti temono anche di non riuscire a tornare ad una vita normale.
Eppure la protesizzazione del ginocchio è un intervento comune, che porta grande beneficio al paziente.
Ciò nonostante, si tratta sempre di un intervento di chirurgia maggiore e quindi comporta alcuni rischi, che vanno sempre chiariti al paziente prima di entrare in sala operatoria.
Di tutti i rischi possibili, due sono particolarmente significativi:
Infezione periprotesica
Si tratta della complicazione più temibile. Avviene perché la superficie metallica della protesi è il terreno ideale per la crescita dei batteri. Qui infatti sono al riparo dalle difese immunitarie dell’organismo. Si verifica mediamente nell’1% dei casi, anche in presenza di un’asepsi ottimale (massima sterilizzazione), di una procedura chirurgica corretta e di una profilassi antibiotica adeguata.
L’insorgere di un’infezione è favorito da alcuni fattori: diabete mellito ed immunodeficienza, che comportano un rischio significativamente maggiore che si verifichi questa complicazione.
Sebbene la maggior parte delle infezioni si presenti nell’immediato post-operatorio, esiste la possibilità che un’infezione si manifesti anche a distanza di anni. In questo caso si ricorre nuovamente ad un intervento chirurgico, che può consistere in una pulizia, se si agisce precocemente (nelle prime settimane dall’impianto), ma può anche consistere in una sostituzione della protesi se l’infezione è cronicizzata o ad esordio tardivo.
Trombosi venosa
La trombosi venosa con il rischio di embolizzazione polmonare, ha un’incidenza piuttosto bassa grazie agli attuali protocolli di prevenzione, che prevedono l’impiego di farmaci anticoagulanti e di calze elastiche durante tutto il periodo post-operatorio.
La flebografia, un’indagine eseguita per motivi di ricerca e non nella routine quotidiana, che consiste nell’eseguire uno o più radiogrammi dei segmenti venosi riempiti di liquidi di contrasto radiologici, dimostra che oltre il 20% dei pazienti sviluppa una qualche forma di occlusione venosa, però solo raramente questa si rende sintomatica ed eccezionalmente dà origine ad un’embolia polmonare.
Gli stessi farmaci usati per prevenire questa complicazione possono essere impiegati a dosaggio aumentato per curare la trombosi o l’embolia polmonare, qualora si dovessero verificare.
Com’è il decorso postoperatorio?
Dopo l’intervento il paziente rimane ricoverato nel reparto chirurgico per un tempo variabile tra 5 e 8 giorni.
La permanenza in ospedale dipende dalla sua età, delle malattie coesistenti, della capacità di sostenere la riabilitazione.
Le protesi monocompartimentali hanno solitamente un decorso molto più veloce rispetto alle totali, perché sono meno invasive.
Convalescenza del paziente che ha subito l’impianto della protesi di ginocchio
Già dal primo giorno il paziente inizia un programma di esercizi passivi di flessoestensione del ginocchio, così da ridurre il rischio di rigidità. Il raggiungimento di una buona articolarità del ginocchio operato già nei primi giorni dopo l’intervento è un fattore fondamentale per avere un risultato ottimale.
La deambulazione inizia in genere dal secondo giorno dall’operazione con l’ausilio di stampelle, per ridurre il carico sull’arto operato.
Negli impianti cementati è possibile eliminare le stampelle precocemente, non appena i tessuti molli sono guariti, generalmente dopo 14 giorni.
Dopo 4-6 settimane dall’intervento, in presenza di un decorso regolare, il paziente può tornare ad una vita del tutto normale.
Quanto dura una protesi di ginocchio?
Le protesi attualmente disponibili hanno una durata media di circa 25 anni, ma la variabilità individuale è grandissima. Il peso corporeo e il livello di attività fisica sembrano incidere in modo determinante su questo fattore. Quindi l’impianto di una proteso nel paziente anziano, magro e con basse richieste funzionali può ragionevolmente durare “per sempre”. Invece il paziente giovane, attivo e sovrappeso rischia di dovere ricorrere un intervento di riprotesizzazione.
Protesi per pazienti giovani (under 60)
I pazienti giovani o relativamente giovani (che non hanno ancora compiuto 60 anni) possono ricorrere a disegni protesici high-flexion.
I disegni high-flexion permettono alla protesi di eseguire flessioni profonde, paragonabili a quelle di un ginocchio normale, senza provocare gravi sovraccarichi delle superfici articolari.
In questo modo anche chi conduce una vita molto attiva, può “contenere” il processo di usura dell’impianto protesico ed ha maggiori possibilità che questo duri a lungo nel tempo.
Le protesi monocompartimentali, anche se offrono l’indiscusso vantaggio di conservare buona parte dell’articolazione, hanno fornito in passato risultati controversi nel paziente giovane (<60 anni).
Quindi, in questa fascia di età, dovrebbero essere limitate a soggetti sedentari non sovrappeso. Nel giovane attivo, invece, è più consigliabile ricorrere ad una osteotomia (un intervento chirurgico correttivo) laddove praticabile, piuttosto che all’impianto di una protesi.